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Glicemia alta: gli snack consigliati dalla diabetologa per una merenda sana e sicura

La glicemia alta è una delle condizioni più comuni e pericolose quando si parla di salute e alimentazione. Spesso legata al diabete o al prediabete, l’iperglicemia può aumentare il rischio di malattie cardiovascolari (come infarto e ictus) e persino di alcuni tumori, tra cui quelli al pancreas, colon-retto e seno.

Per questo è fondamentale tenere sotto controllo i livelli di zucchero nel sangue anche attraverso piccoli gesti quotidiani, come scegliere lo spuntino giusto a merenda.

Ma cosa può mangiare chi ha la glicemia alta? Lo abbiamo chiesto a Elena Succurro, professoressa associata di Medicina Interna all’Università Magna Grecia di Catanzaro e membro della Società Italiana di Diabetologia (SID).


Quando si parla di glicemia alta?

«Si parla di diabete quando la glicemia a digiuno supera i 126 mg/dl in due misurazioni, oppure se durante una curva glicemica supera i 200 mg/dl», spiega la dottoressa Succurro.
«Anche livelli intermedi, noti come prediabete, rappresentano un campanello d’allarme: glicemia a digiuno tra 100 e 126 mg/dl o emoglobina glicata tra 5,7% e 6,4%. In questi casi si è già a rischio, ma si può intervenire in tempo con alimentazione e attività fisica».


Cosa mangiare a merenda per tenere stabile la glicemia?

La dottoressa suggerisce di seguire i principi della dieta mediterranea, suddividendo l’alimentazione in cinque pasti al giorno, con particolare attenzione agli spuntini.

Uno snack sano per chi ha la glicemia alta deve essere:

  • a basso indice glicemico

  • ricco di fibre, grassi buoni e proteine

  • povero di zuccheri semplici

Gli snack consigliati per la glicemia alta

Ecco alcune scelte ideali secondo l’esperta:

  • Yogurt greco o naturale (senza zuccheri aggiunti)

  • Frutta fresca a basso indice glicemico, come: mele, pere, pesche, prugne, frutti di bosco

  • Frutta secca e semi (mandorle, noci, semi di lino, Chia, girasole) — in piccole quantità

  • Crackers integrali o pane integrale tostato con hummus di ceci

  • Verdure crude come carote, cetrioli o sedano

  • Cioccolato fondente (almeno 70%) in piccole porzioni

  • Fiocchi di latte o uova sode per uno snack proteico

Cibi da evitare con la glicemia alta

Attenzione invece a questi alimenti, che possono causare picchi glicemici:

  • Zuccheri raffinati (caramelle, dolci, bibite zuccherate)

  • Pane bianco, snack confezionati, patatine, fritture

  • Marmellata, miele, succhi di frutta

  • Frutta molto zuccherina come melone, anguria, uva

Questi alimenti vengono assimilati rapidamente e possono stimolare una forte risposta insulinica, seguita da un calo rapido della glicemia che provoca fame improvvisa, creando un circolo vizioso difficile da controllare.

Snack proteici: sì, ma con equilibrio

«Gli snack proteici sono ottimi alleati per chi ha la glicemia alta, perché rallentano l’assorbimento degli zuccheri e danno sazietà» dice Succurro.
«Attenzione però a non esagerare: le linee guida consigliano che le proteine costituiscano dal 10 al 20% dell’apporto calorico giornaliero, evitando diete iperproteiche non bilanciate».


Frutta di stagione consigliata

I frutti di stagione con basso indice glicemico sono ottimi per chi ha la glicemia alta. Alcuni esempi:

  • Mele

  • Pere

  • Kiwi

  • Fragole, mirtilli, lamponi

  • Pesche

Ricchi di fibre, questi frutti rallentano l’assorbimento degli zuccheri e aiutano a mantenere i livelli glicemici stabili.

Idee pratiche per la merenda

Ecco alcune combinazioni consigliate dalla dottoressa Succurro:

  • Una mela con un pizzico di cannella

  • Yogurt greco con frutti di bosco o un cucchiaino di semi di lino

  • Pane integrale con hummus e verdure crude

  • Una manciata di noci con una pesca

  • Barrette casalinghe con avena, semi e noci

  • Uovo sodo o fiocchi di latte

In sintesi

Scegliere lo snack giusto a merenda è un passo semplice ma fondamentale per gestire la glicemia. L’obiettivo è mantenere stabili i livelli di zucchero nel sangue, evitando picchi e cali improvvisi. Con una dieta bilanciata e consapevole, anche la merenda può diventare un alleato prezioso per la salute.

Bastano due giorni di sport a settimana per vivere più a lungo: lo conferma la scienza

Chi si dedica all’attività fisica solo nel fine settimana — i cosiddetti weekend warriors, o “guerrieri del weekend” — può comunque trarre importanti benefici per la salute e la longevità. Lo confermano due nuovi studi pubblicati quasi contemporaneamente: uno sulla rivista Journal of the American Heart Association a cura dell’Università di Guangdong, e l’altro su Nature Scientific Reports dai ricercatori dell’Università di Yangzhou. Entrambe le ricerche hanno analizzato i dati di oltre 260.000 persone.

I numeri parlano chiaro: due giorni bastano (e avanzano)

Le evidenze mostrano che 75-150 minuti di esercizio moderato concentrati nel weekend sono sufficienti per ridurre significativamente il rischio di morte prematura per malattie cardiovascolari, cancro e altre patologie.
Anche un’attività fisica semplice — come camminare a passo sostenuto, pedalare lentamente, giocare a tennis o ballare — è sufficiente per migliorare la salute generale.

I risultati sono impressionanti:

  • 32% in meno di rischio di mortalità generale nei weekend warriors

  • 31% in meno di rischio per malattie cardiovascolari

  • 21% in meno di rischio di morte per cancro

Chi si allena regolarmente durante la settimana (non solo nei weekend) ottiene benefici leggermente inferiori ma comunque significativi: rispettivamente -26%, -24% e -13%.

Chi sono i weekend warriors?

Il termine, coniato da una ricerca pubblicata su JAMA, si ispira ai “guerrieri” del film cult I guerrieri della notte. Si riferisce a chi concentra tutta la propria attività fisica nei due giorni liberi della settimana, spesso per mancanza di tempo durante i giorni lavorativi.

Ma attenzione: non serve “scatenarsi” in palestra. È sufficiente raggiungere i 150 minuti settimanali in modo graduale. Gli esperti consigliano, in particolare per chi è poco allenato, di iniziare con sessioni di 20 minuti, aumentando progressivamente per evitare traumi o affaticamenti muscolari.

La frequenza cardiaca come indicatore

Secondo i parametri internazionali, l’esercizio moderato comporta una frequenza cardiaca media intorno a 109 battiti al minuto, mentre quello intenso supera i 142 bpm. I benefici sono presenti in entrambi i casi, ma è l’abitudine a muoversi — anche solo nel weekend — a fare la differenza.

Dispositivi indossabili e conferme oggettive

Gli studi cinesi hanno utilizzato dispositivi come accelerometri da polso per monitorare l’attività fisica e confermare in modo oggettivo i risultati. In particolare, i benefici maggiori sono stati osservati nella fascia d’età 41-80 anni, con una riduzione significativa anche del rischio di ipertensione.

L’esercizio fisico può contrastare gli effetti dannosi delle terapie contro il cancro

na nuova metanalisi, pubblicata sul British Journal of Sports Medicine, conferma che l’attività fisica può rappresentare un potente alleato contro gli effetti collaterali delle terapie oncologiche. Non solo migliora la qualità della vita e il benessere psicologico, ma riduce anche danni fisici spesso associati ai trattamenti, come problemi cardiaci, neuropatie e declino cognitivo.

«L’esercizio fisico migliora il benessere generale e dovrebbe essere integrato sistematicamente nei protocolli di cura del cancro», affermano gli autori dello studio.

Una base scientifica più solida

Sebbene in passato diverse metanalisi avessero già analizzato il ruolo dell’attività fisica nei pazienti oncologici, secondo i ricercatori mancava ancora una sintesi completa che considerasse un ampio spettro di tipi di tumore. Per colmare questa lacuna, gli autori hanno esaminato studi clinici randomizzati e controllati pubblicati tra il 2012 e il 2024, tutti con un livello di qualità da moderato ad elevato.

Quali tipi di attività?

La metanalisi ha incluso una vasta gamma di esercizi, indipendentemente da durata e intensità. Tra questi:

  • attività mente-corpo come yoga, Tai Chi e Qigong (28,5%)

  • esercizi aerobici e di resistenza (48%)

  • allenamento a intervalli ad alta intensità (18,4%)

  • altre forme di esercizio (59%)

Questi approcci sono stati analizzati in pazienti affetti da diversi tipi di tumore, in particolare:

  • mammella (50%)

  • polmone (47%)

  • apparato digerente (20%)

  • sangue (3%)

  • prostata (2,5%)

  • altri tumori (31%)

Effetti significativi e benefici misurabili

Secondo i criteri GRADE, utilizzati per valutare l’affidabilità delle prove scientifiche, il 54% delle associazioni tra esercizio e benefici è risultato statisticamente significativo, con il 17% classificato come “evidenza ad alta certezza” e il 31% a certezza moderata.

Tra i benefici più rilevanti riscontrati:

  • riduzione dei danni cardiaci e neurologici legati alla chemioterapia

  • miglioramento della composizione corporea

  • riduzione della dispnea e del dolore

  • miglioramento della qualità del sonno, benessere psicologico e interazione sociale

  • calo di marker infiammatori come proteina C-reattiva, insulina e IGF-1

Inoltre, l’attività fisica prima di un intervento chirurgico (pre-habilitation) ha mostrato un impatto positivo su:

  • rischio di complicazioni post-operatorie

  • durata della degenza

  • dolore e mortalità post-intervento

Verso linee guida personalizzate

Gli autori riconoscono comunque alcune limitazioni: le differenze tra gli studi considerati, il numero di soggetti coinvolti e il fatto che i pazienti in grado di svolgere attività fisica potrebbero già essere in condizioni migliori rispetto alla media.

Nonostante ciò, concludono che l’integrazione dell’attività fisica – anche in forme leggere e adattate – nei percorsi di cura oncologica rappresenta un’opportunità concreta e sottovalutata.
È però fondamentale che le prescrizioni siano personalizzate, tenendo conto del tipo di tumore, dello stadio di malattia e delle caratteristiche individuali del paziente.

«Servono ulteriori ricerche di alta qualità per ottimizzare i protocolli, chiarire i meccanismi coinvolti e garantire un impatto clinico significativo e duraturo per tutte le persone colpite dal cancro».


Diabete e infarto? Questo alimento fa miracoli: studi recenti dimostrano che può allungare la vita

Spesso sottovalutata o considerata semplicemente uno snack dolce, l’uva passa è in realtà un concentrato di benefici per la salute. Oggi sempre più studi scientifici confermano il ruolo fondamentale dell’alimentazione nella prevenzione delle malattie croniche, in particolare quelle cardiovascolari e metaboliche. E l’uva passa si rivela un piccolo ma potente alleato.

Un concentrato di salute in pochi grammi

L’uva passa è ricca di fibre, vitamine del gruppo B, minerali come potassio, ferro e calcio. Questi nutrienti sono fondamentali per il corretto funzionamento del sistema nervoso, per la produzione di globuli rossi e per mantenere ossa forti e sane.

Grazie all’elevato contenuto di fibre solubili, l’uva passa favorisce la regolarità intestinale e contribuisce a un microbiota intestinale equilibrato, migliorando la digestione e aiutando a prevenire la stitichezza.

Cuore e circolazione: i polifenoli fanno la differenza

Il consumo regolare di uva passa può contribuire a ridurre i livelli di colesterolo LDL, migliorando la salute cardiovascolare. Merito dei polifenoli, potenti antiossidanti che proteggono i vasi sanguigni dai danni ossidativi e aiutano a ridurre il rischio di infarto e altre malattie cardiache.

Non solo dolcezza: protegge anche i denti

Nonostante il suo sapore zuccherino, l’uva passa contiene acido oleanolico, una sostanza naturale in grado di inibire la crescita di batteri nocivi nel cavo orale. Questo la rende utile anche nella prevenzione della carie, sfatando un luogo comune diffuso.

Energia naturale e a rilascio graduale

L’uva passa è una fonte naturale di zuccheri semplici come fruttosio e glucosio, utili per fornire energia immediata. Per questo motivo è particolarmente indicata come spuntino per sportivi o persone attive. La presenza di fibre contribuisce inoltre a un rilascio più graduale degli zuccheri, evitando bruschi picchi glicemici.

Depurare il fegato con un rimedio della tradizione

Tra i rimedi naturali tramandati nel tempo, spicca l’infuso di uva passa: bollire 150 grammi di uva passa in mezzo litro d’acqua per circa 20 minuti, lasciare riposare tutta la notte e bere il liquido a digiuno la mattina seguente. Questo trattamento può favorire la depurazione del fegato e aiutare l’organismo a eliminare le tossine in modo delicato.


Un consiglio finale

L’uva passa è un alimento prezioso, ma come ogni cibo ricco di zuccheri naturali va consumata con moderazione, soprattutto da chi soffre di diabete o deve tenere sotto controllo la glicemia. Inserita con equilibrio in una dieta sana, può offrire benefici sorprendenti. In ogni caso, prima di modificare il proprio regime alimentare, è sempre bene consultare un professionista della salute.

Salute intestinale e mentale: il segreto delle 3F

Per lungo tempo è stato trascurato, ma oggi il microbiota viene considerato un vero e proprio «organo aggiuntivo», in grado di influenzare profondamente il nostro benessere e il corretto funzionamento del sistema immunitario. Abitudini alimentari scorrette, stress e uno stile di vita poco equilibrato possono comprometterne la salute. La scienziata Maria Rescigno ci spiega come mantenerlo in equilibrio, partendo da ciò che mettiamo nel piatto.

Rescigno, prorettrice alla Ricerca di Humanitas University e vicedirettrice scientifica della Ricerca di base dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, condivide numerosi suggerimenti pratici nel suo libro “Microbiota, se lo conosci ti curi meglio. Guadagnare salute e fronteggiare le malattie autoimmuni portando equilibrio nell’intestino” (Sonzogno), scritto insieme a Carlo Selmi, responsabile dell’Unità di Reumatologia e Immunologia Clinica dell’Istituto.

Cos’è esattamente il microbiota?
«Il microbiota è l’insieme dei microrganismi — batteri, virus, funghi, protozoi, archei — che vivono nel e sul nostro corpo: dall’intestino ai polmoni, dalla bocca al naso, passando per organi genitali, pelle, cuoio capelluto e canale uditivo. Il microbiota intestinale è il gruppo più numeroso e influente».

Quali sono i benefici di un microbiota in salute?
«Un ecosistema microbico bilanciato aiuta il sistema immunitario a respingere i patogeni, regola il metabolismo e persino il comportamento. Produce vitamine, acidi grassi e altre sostanze importanti per la digestione e la salute. Partecipa all’assorbimento di calcio e vitamina D, regola gli ormoni sessuali e può influenzare anche il sistema nervoso. Inoltre, interagisce con l’efficacia dei farmaci, incluso il potenziamento di trattamenti oncologici come l’immunoterapia».

E se il microbiota si altera?
«È importante ricordare che non tutti i microrganismi sono “buoni”. Accanto ai batteri utili — detti simbionti — vivono anche patobionti, potenzialmente nocivi. Finché c’è equilibrio tra le specie, non ci sono problemi. Ma se alcune colonie crescono eccessivamente o altre scompaiono, si verifica una disbiosi, uno squilibrio che può contribuire allo sviluppo di malattie, anche non digestive».

Un esempio concreto?
«L’Helicobacter pylori, batterio presente in alcuni individui, è classificato come cancerogeno di primo livello dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), al pari di fumo e amianto. Se prolifera, può causare gastrite, ulcere e, nei casi peggiori, tumori gastrici. Per fortuna, test semplici e non invasivi come quelli del respiro o delle feci possono rilevarlo».

Il nostro organismo come si difende?
«Se il sistema immunitario è in buona forma, riesce a contrastare la crescita dei patogeni attraverso anticorpi specifici e peptidi antimicrobici, ossia veri e propri antibiotici naturali».

Quindi, abbiamo una sorta di protezione naturale?
«Esatto. Il microbiota è un sistema dinamico, capace di adattarsi a dieta, ambiente e cambiamenti legati all’età. Ecco perché è essenziale adottare comportamenti quotidiani che ne favoriscano l’equilibrio».

Quali comportamenti suggerisce?
«Noi abbiamo identificato una semplice regola, il metodo delle 3F: fibre, fermenti, fitness. È una strategia efficace per mantenere sano il microbiota e vivere più a lungo in buona salute, soprattutto con l’avanzare dell’età, periodo in cui il microbiota tende a impoverirsi».

In cosa consiste questo metodo?
«Le tre “F” si integrano perfettamente con la dieta mediterranea, ricca di verdure, legumi e cereali integrali, elementi fondamentali per alimentare la biodiversità intestinale. Con “fibre” si intendono i componenti vegetali che i batteri intestinali scompongono, rendendoli digeribili e favorendo la proliferazione dei ceppi benefici».

Quali alimenti dovremmo privilegiare?
«Frutta fresca di stagione, frutta secca a guscio (come le noci), ortaggi, legumi, cereali integrali, funghi selezionati e semi oleosi. Le fibre presenti in questi cibi nutrono i batteri buoni (probiotici), che a loro volta producono sostanze benefiche chiamate postbiotici».

Il “piatto sano” di Harvard è un buon modello?
«Assolutamente sì. A ogni pasto: metà del piatto dovrebbe essere occupato da verdure e frutta (meglio più verdura che frutta), un quarto da cereali (preferibilmente integrali almeno una volta al giorno) e un altro quarto da fonti proteiche varie, con almeno tre porzioni settimanali di legumi. Un trucco utile: iniziare sempre con un’insalata, che abbassa il picco glicemico del pasto».

Passiamo ai fermentati: perché sono importanti?
«La FAO ne raccomanda il consumo: aumentano la disponibilità di proteine, vitamine e grassi utili. Yogurt e kefir, per esempio, contengono batteri vivi: il kefir anche lieviti. Più ceppi vivi e vari sono presenti, maggiori saranno i benefici per il microbiota».

Quali altri alimenti fermentati consiglia?
«Oltre a yogurt e kefir, anche tempeh, miso, kombucha, kefir d’acqua, crauti, kimchi coreano, cetriolini in salamoia, verdure fermentate come le giardiniere. Non esiste una quantità precisa da assumere ogni giorno, ma è consigliabile inserirli con frequenza nella dieta per variare la flora intestinale».

E il ruolo del movimento fisico?
«L’attività fisica è uno dei fattori più facili da modificare e al contempo uno dei più potenti. Aiuta a prevenire malattie metaboliche, cardiovascolari, neurodegenerative e oncologiche. Inoltre, aumenta la diversità del microbiota e stimola la produzione di molecole che ci spingono a muoverci, regalandoci una sensazione di benessere».

Ci sono prove scientifiche al riguardo?
«Sì, e molto convincenti. L’esercizio regolare favorisce anche processi fondamentali come l’autofagia cellulare (il riciclo delle cellule danneggiate), abbassa l’infiammazione cronica e potenzia il sistema immunitario. Corpo e microbiota invecchiano insieme, ma possiamo rallentare questo processo mantenendoci attivi. Una sfida alla portata di tutti».